Signore e signori,
apriamo la stagione 2019-2020 con tre mostre:
The Organon Experiment, Eco Shifters e Stein Klang Ort Zeit,
rispettivamente di Markus Keibel, Debora Hirsch e Simon Berz.
Markus Keibel è un artista berlinese.
Mio ospite da quasi due mesi – con il quale ho avuto piacevolissime
discussioni e scambi di opinioni – mi ha permesso di assistere
passo dopo passo alla messa in atto della sua idea di istallazione
espressa nel titolo The Organon Experiment. Sul posto, ossia qui a
Torre, ha cercato e trovato il materiale, tra cui le pesanti pietre
portate giù a mano dalla montagna; ha contattato e discusso con
gli artigiani locali le caratteristiche dei manufatti di cui necessitava;
ha scritto manualmente alla popolazione un bel numero di lettere,
ottenendo le risposte che gli servivano per affermare il suo
messaggio artistico. E alle fine il risultato si vede.
La composita istallazione pone l’accento su un fenomeno
preoccupante del nostro tempo: la superficialità del sapere; la
paura di conoscere; l’accettare di ignorare per quieto vivere,
comodità, mancanza finalmente del senso di sé.
Sapere Aude: abbi il coraggio di sapere. Tocca, esperimenta le
cose in prima persona, con senso critico, in modo da coltivare una
tua propria capacità di giudizio.
Non accettare per vero ciò che non puoi sperimentare in prima
persona, affermava nel XIII secolo Federico II di Svevia,
opponendosi in tal modo al dogma della chiesa di Roma.
Oggi, perlomeno da noi, in Occidente, non è la CENSURA che
minaccia il nostro diritto di sapere. È l’informazione rapida e
superficiale del mondo digitalizzato. Non si leggono più libri. Non
si medita più su di essi. Ci si accontenta di brevi e sommari riassunti
che come entrano nella nostra testa volano via subito senza
lasciare traccia.
Il lavoro di Markus Keibel esprime questo pericolo.
Da Markus Keibel, che dalla materia e dalle pietre estrae la sua
ispirazione artistica, a Simon Berz, con Stein Klang Ort Zeit, che
alle pietre e agli altri elementi della natura (vento, fuoco, acqua,
pietre appunto) dà voce il passo è stato breve. Ho trovato Simon
Berz sotto casa, qui in uno stabile dell’ex comparto industriale
Cima Norma intento a lavorare in un suo ancora precario
laboratorio. Mi ha spiegato che cosa stava facendo. Lui è un
musicista di una certa fama, un percussionista per la precisione
con una sua scuola di musica a Zugo. Cultore del Jazz, anche di
quello sperimentale, ha posto un punto di interesse della sua
ricerca nelle sonorità naturali, quelle sonorità che la natura
esprime, ma che l’uomo è ormai incapace di udire.
Simon Berz, con tecniche da lui messe a punto, cattura questi
suoni e li elabora, li modula in modo che giungano gradevoli
all’orecchio umano. Berz è un artista solitario. A Torre, tra i monti
e il cielo, pensa di aver trovato il suo laboratorio naturale dove
creare la sua musica. Ovunque e sempre – mi confida – è alla
ricerca di luoghi “fuori dal mondo”, luoghi magici dove il mondo
manifesta la sua potenza e la sua meravigliosa armonia di
creazione ed anche distruzione. Perché tale è la vita e la ragione
delle cose e degli uomini: creare, fare, trasformare e ciò implica
in sé anche la necessità di distruggere per ricreare di nuovo.
Ho conosciuto Debora Hirsch, artista italo-brasiliana, che si
propone come curatrice di un insieme di video sotto il nome di Eco
Shifters.
L’ho conosciuta grazie a Franco Marinotti, come pure è stato lui a
portare in fabbrica lo scorso anno Markus Keibel.
Con Debora c’è stata subito un’ottima intesa. Il suo messaggio,
raccolto in dodici video realizzati da altrettante artiste e artisti,
guarda caso più donne che uomini, mi è parso subito più che
opportuno: L’artista come interprete del cambiamento. E fin qui
va bene. Ma soprattutto l’artista come generatore di
cambiamento, di cui ne è interprete.
Un pensiero a questo punto mi viene naturale: il Bello e il suo
rapporto con il Bene.
Una prima e immediata concezione di Bene è il bene comune,
quello che la politica dovrebbe perseguire. La percezione del Bene
non è di per sé un esercizio arduo, perché si manifesta
direttamente su di noi, sulla nostra pelle.
Ma il Bello, invece? La sua definizione è molto più fluida, in un
certo senso ci sfugge. Mi pare Platone diceva che il Bello anticipa
il Bene, quasi fosse l’anticamera del Bene. Si arriva al Bene
attraverso il Bello. Ma che cos’è dunque il Bello. È un valore
oggettivo o soggettivo? A quali condizioni fa riferimento? Una
risposta immediata che mi viene è che il Bello fa riferimento a
proporzione, armonia, equilibrio, simmetria. Rapporto armonico
dei diversi elementi.
Ricerca dell’equilibrio, non è però da intendersi come un fattore
statico. L’essenza della bellezza sta infatti nel continuo passaggio
dall’equilibrio al disequilibrio. Assonanza e dissonanza.
Concordanza e discordanza. Forma e difformità. Composizione e
scomposizione. Vita e morte. Generazione e dissoluzione. Il bello
porta in sé un elemento dinamico: non è solo ciò che si contempla,
ma è ciò che si produce sanando il difforme.
È l’emozione prodotta nel continuo passaggio dall’ordine al
disordine, dal previsto all’imprevisto.
Come nella natura dove la vita si rigenera incessantemente e dalla
decomposizione riproduce nuove forme. Così è nell’arte,
nell’artificiale intenzionale creazione del bello: cogliere l’istante
sul punto di decomporsi di deformarsi e sanarlo dandogli un nuovo
significato, una nuova forma. È un continuo transitare da uno stato
all’altro. Creazione è fare transitare qualcosa dal niente all’essere.
La natura rigenera (crea) spontaneamente.
L’uomo rigenera tramite la tecnica, l’arte, la modalità, addirittura
la ritualità per cui fa transitare le cose dal niente all’essere.
C’è un etimo comune tra il vocabolo arte e quello di arto.
L’articolazione che produce movimenti ordinati, non sconnessi,
rituali, per comporre l’oggetto prodotto, che prima non c’era e
dopo è stato creato.
L’arte, come la natura, riordina, sottrae le cose al disordine e le
ripropone in un nuovo ordine creando, generando l’inaudito.
L’arte genera mondi. Fa passare dal niente all’essere, non solo
sanando ciò che è distrutto, ma facendo apparire ciò che è inedito.
Ecco che l’arte, per voce e atto cosciente dell’artista, crea mondi.
Con ciò mi ricollego a Debora Hirsch e a Eco Shifters: l’artista come
interprete, artefice, generatore del cambiamento.
L’artista che riprende la realtà in cambiamento: ciò che si
trasforma e si dissolve.
Ma non la riprende pedissequamente. Lo può fare ma sarebbe più
abilità tecnica che espressione artistica. La realtà la interpreta, la
legge, la disseziona e la ricompone in una nuova realtà. La realtà
che lui vede. Se riprende un vecchio morente o un albero
rinsecchito non lo riproduce così com’è. Gli mette del suo e ne fa
una nuova realtà da lui plasmata.
E con ciò la realtà apparirà sotto un altro punto di vista.
Due parole infine su La Fabbrica del Cioccolato, la fondazione che
ha indetto queste mostre. Sta vivendo un momento di transizione.
È in una fase di ristrutturazione o più semplicemente di
riorganizzazione.
Dopo circa tre anni di attività in cui è riuscita ad affacciarsi con una
sua identità nel vasto mondo dell’azione culturale e artistica, la
Fondazione ha sperimentato potenzialità e nel contempo
conosciuto difficoltà. Ma soprattutto ha acquisito esperienza per
sapere come e verso quale meta navigare.
Non è un luogo espositivo, non è un museo. Può e vuole essere un
luogo di creazione, in cui la parte espositiva si presenta come
l’ultima fase dell’azione creativa: il momento in cui viene mostrato
ciò che è stato realizzato. È e vuole essere un luogo di creazione
multidisciplinare, tanto nel campo delle belle arti, che in quello
tecnico-scientifico e letterario o musicale. Le premesse ci sono: lo
affermo perché le abbiamo e le stiamo tuttora sperimentando.
L’evento odierno lo dimostra. La fabbrica si sta riempiendo di
gente che qui vuol risiedere non per fare del turismo, non perché
è semplicemente alla ricerca di un’abitazione, ma perché crede
che qui possa essere il luogo ideale dove esprimere la propria
personalità e realizzare in un contesto armonioso il proprio essere.
Abbiamo capito dove possiamo andare e dove invece è meglio non
avventurarsi.